mercoledì 12 agosto 2015

Diary #03 - Il prezzo da pagare

Ritorni in città un pomeriggio di agosto, hai cambiato quattro treni, di cui due senza biglietto. Sei sola e trascini una valigia pesante al seguito. Fa caldo, ma è brutto, non si vede il sole, l'umidità è alle stelle e ti assalgono le zanzare. Per difendere il sangue che ti serve per vivere, cominci a camminare nervosamente lungo il viale, lo stesso che tra qualche ora sarà popolato da donne di antica professione. Ti immagini come sarebbe una vita diversa, quando il clacson suona e tua cugina ti fa un cenno. Lei, così diversa da te, non avrebbe immaginato una vita diversa. Disciplinata, a modo, cortese, instancabile lavoratrice, inguaribile perfezionista. Lei, con cui hai un legame vero, ma difficile. Un botta e risposta in cui la botta prevale e spesso è meglio sostituire la risposta col silenzio. Non vi capirete mai, ma vi volete bene. E infatti lei è l'unica che ha risposto all'appello, ha preso l'auto ed è venuta a recuperarti in stazione. 
Scende dalla macchina e vi abbracciate, arriva subito la frase che non vuoi sentire "ti vedo bene", bestemmi dentro, sorridi fuori. Metti in memoria di cercare un corso di assertività appena agosto finisce. Dici " è stata la più bella vacanza di sempre", mentre pensi "sono ingrassata e si vede". Non sai nemmeno come ti senti, perché sia la bocca sia la mente dicono cose vere. Ti senti bene, ti senti male. Ribalti la situazione, per evitare sviluppi, dici "ti vedo rilassata" e lei comincia a parlare di sè. You're safe
La parte più difficile è caricare la valigia in macchina, perché "il baule è troppo piccolo, il sedile si rovina, davanti no perché se faccio un incidente rompe il vetro". Le dici "se hai un cavo la lego dietro a mo' di carretto", mentre pensi che forse avresti fatto prima ad andare a casa a piedi. Dopo aver alzato il macigno tre-quattro volte, seguendo alla lettera direttive e rimproveri del capo, alla fine piazzi la valigia sul sedile e dici "qui va bene". La sua faccia è chiara, non va bene affatto, ma tra meno di mezz'ora ha la messa e lascia correre. "Ora che la valigia è dietro, cerca comunque di non fare incidenti", le dici, mentre procedete ai 50 all'ora sul vialone deserto. Ti racconta delle sue vacanze e di vostro nipote, ti ritrovi a pensare che se guidassi tu sareste almeno 30 km oltre il limite di velocità, con la cintura solo perché la macchina fa beep se non la indossi, alcol test positivo anche se di poco, droga test negativo (anche se per poco). 

Mi chiedo perché sia così, in fondo la vita secondo le regole è più serena, è come sentirsi protetti, una legge che ti fa da genitore mentre affronti il mondo e i genitori non ci sono. Mi riprometto spesso che sarà così anche per me, un desiderio di tranquillità pagato con la disciplina, con la consapevolezza che, se fai il conto giusto, il risultato non potrà che essere quello stabilito. Ma i conti giusti finisco per non farli e ho smesso di credere che la disciplina possa salvarmi, nemmeno affidarmi a una religione, ho bisogno di trovare me e la forza che da qualche parte dovrei aver lasciato. 
Arrivo a casa e non c'è nessuno, non vedrò i miei fino a fine agosto. Lascio tutto, prendo la macchina, faccio la spesa e mi sposto nella mia città di studio. 
Era il 9 agosto, oggi è il 12. A parte la gente del tirocinio non ho visto nessuno. Sono tutti in vacanza o impegnati con la tesi, le persone dell'università non le voglio vedere. Non riesco a capire se sto bene o sto male, quel che è certo è che altaleno, ma è diverso da prima. Ho capito che il dolore arriva come un fulmine, ma è il prezzo da pagare, quando esci dalla doccia e ti cade l'occhio allo specchio che non guardi mai. E una voce ti dice: "che cosa sei diventata?". Cosa, non persona, un corpo che non ti appartiene e che ti imprigiona, che vorresti distruggere, perché ti sfugge sempre di mano. Chi sei tu, nello specchio, perché ti odio? Perché sei così brutto, perché ritorni sempre dove non voglio che tu stia? Perché non rispondi ai miei comandi? A te che odio, a te che ora mi fai piangere a dirotto, a te, però, dico grazie di non avermi abbandonata meno di 12 mesi fa, quando ti avevo ridotto a poco più di niente. Grazie di essermi sopravvissuto e di avermi portato tra le braccia della persona che amo e che so che mi ama. Grazie di esserti preso cura di me, di essere stato in grado di sopravvivermi, con i tuoi millenari meccanismi. Grazie perché io mi sarei molto anti-darwinianamente estinta. Piango. La mia anoressia è stato il prezzo da pagare per poter vivere. Ho sempre pagato e ho pagato col corpo il mio diritto alla vita, un po' come prostituirsi. Ora ho deciso di provare a contrattare un po' sul prezzo. Rimarrà l'odio, forse. Rimarrà il pensiero di fare schifo, la vergogna di mostrarsi. Forse aumenterà, all'aumentare mio. Un aumentare che mi sembra non avere limite. Ma la vergogna e lo schifo non sono mai spariti ci sono ora, c'erano quando i kg erano più di questi. Forse erano un po' meno 9 kg fa, ma la verità è che 9 kg fa non vivevo. Andavo a dormire ogni sera con la sensazione che il cuore non avrebbe retto fino al giorno dopo. Conteggiavo nelle calorie anche la mezza big-babol che mettevo in bocca quando alla settima ora di camminata quotidiana avevo la sensazione di svenire e mi servivano zuccheri. Quante volte una panchina mi ha salvata al pelo. Quanto era distante la felicità che ho provato quest'anno, nello stesso mese in cui, un anno esatto fa, stavo per lasciare andare tutto. Mi guardo allo specchio solo per sbaglio. Oggi ho visto le gambe, la pancia, i fianchi. Mi sono sentita morire. Mi guardo dentro e sento un giogo sulla mia felicità. Però c'è, anche lei. La felicità. C'è un po' di voglia, di determinazione nel provare nuove vie. La felicità che è ora seduta a fianco della tristezza. Il desiderio al fianco della rassegnazione. C'è tutto questo, tutto insieme. Non capisco più niente, ma non voglio né ordine né silenzio. Non voglio che oggi diventi domani solo per ricominciare a costruire l'ennesimo ordinato domino che cadrà quando io sarò sfinita. Preferisco lasciare le tessere a terra o costruire due aerei: uno per volare via e uno per tornare. Costruire una casa, in cui la mia mente maligna dice che non entrerei mai perché son troppo grassa. Ma almeno sarà casa e la condividerò con qualcuno. E sarò felice. E sarò triste. Sarò, insomma. Sarò.

1 commento:

  1. Non ricordo di essere mai passata dal tuo blog, forse sì, forse no, magari me ne renderò conto leggendo gli altri post.
    Mi piace come scrivi, ovviamente posso capire quello che provi.
    Non scrivi da diverso tempo e come inevitalmente mi accade ogni volta che qualcuna di noi "sparisce", mi chiedo come stia andando la vita là fuori..
    un abbraccio.

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