mercoledì 24 giugno 2015

La mia esperienza con i DCA (parte I)

Questo post e quelli che seguiranno non vogliono essere un ricamo su me stessa (anche perché, dato l'argomento trattato...!), ma un semplice racconto, a grandi linee, di come e quando i DCA sono capitati nella mia vita, di quali ostacoli ho incontrato nell'affrontarli, di come son cambiati nel tempo ed altri dettagli. 
Spero che questo lungo racconto possa avere una qualche utilità a chi vive i DCA e a chi è vicino a qualcuno con dei DCA. Magari leggendo ritroverete in queste esperienze qualcosa in comune con le vostre, magari no. Sono, appunto, "esperienze".

QUANDO, COME, PERCHÉ È INIZIATA
Quando. Alle scuole medie. Non c'è stato un momento preciso dei tre anni in cui la problematica si è rivelata, ma si è trattato di un processo in continuo crescendo, pur con momenti di maggiore coinvolgimento ed altri più distesi. Facciamo 11-12 anni?
Come e perché. Il mio avvicinamento alle problematiche dell'alimentazione è stato graduale. Alle scuole medie, le mie competenze in materia di alimentazione erano scarse. La mia famiglia mi aveva sempre lasciato la più totale libertà di mangiare quello che volevo quando volevo al di fuori dei pasti regolamentari, che erano belli, abbondanti e preparati dalla mamma. Mangiavo tanto, forse un pochino di più di quello che era il mio fabbisogno, ma non poi troppo; ero "in carne", ma non grassa, come presto avrei cominciato invece a definirmi.
Cosa è successo alle medie? Diversi eventi, in sostanza non troppo diversi da quelli di molte/i altre/i ragazze/i. Ne succedono di cose in quegli anni; ci si sviluppa, si cambia corpo e vita.
La mia nuova classe, il mio nuovo mondo. Nel settembre del primo anno delle scuole medie sostenni l'esame di ammissione in conservatorio e lo passai. Le lezioni di teoria e solfeggio si tenevano con la classe di prima media del conservatorio e dovetti inserirmi lì. Ma i miei genitori non volevano che frequentassi la scuola media in quell'istituto e mi iscrissero ad un altro, che ritenevano migliore. Non conoscevo nessuno nemmeno lì. Così dovetti inserirmi in due posti contemporaneamente.
Cambiamenti. Insomma, era fatta, ero alle medie, ero grande anche io! Gli insegnanti avevano smesso di chiamarci "bambini" in favore del più evoluto "ragazzi". E la cosa mi piaceva. Ci si sentiva tutti tutti un po' diversi, un po' cresciuti e come tali si voleva apparire. A far tendenza non c'erano più i Pokemon, ma il "Cioè" (una rivista per ragazzine) ed al mattino non si guardavano più i cartoni, ma MTV (e quanto poco mi piacesse la musica che passava lo so solo io!). C'erano i primi cantanti, le prime cotte un po' più serie, di un tenore diverso rispetto a quelle delle elementari. Proprio io, che alle elementari mi ero sposata più volte con più compagni con anelli di carta. C'era tutto un nuovo mondo, in cui alcuni se la cavavano meglio, erano più "in". Altri erano definitivamente "out".
E io... Io, in tutto questo, stavo in un limbo. Ero quella che vestiva un po' da maschio, senza nemmeno un paio di jeans aderenti, le magliette tutte sportive e abbondantemente
larghe (mi piacevano così, erano comode; e poi...il fascino delle tute da ginnastica!); quella che in palestra sudava giocando e non si sedeva a chiacchierare sulla trave; quella che non faceva danza classica, nè hip-hop, nè pallavolo. Il mio sport era lo sci agonistico nelle mie montagne, dove ancora oggi ho una casa e trascorro molto tempo, insieme a persone del luogo, che mi conoscono e mi considerano una di loro. Ma allora non apprezzavo: volevo inserirmi in città, così...
...ho deciso di cambiare. Così i capelli son passati da lunghissimi alla lunghezza media e addio, senza una lacrima, alla treccia che tutti invidiavano. Lo sci è stato abbandonato con la scusa di dover studiare di più. Ho cercato di lasciare il conservatorio e l'inglese, che però son stata "forzata" a continuare. I vestiti erano più omologati. Ma non mi stavano mai bene come alle altre, perché...mi sentivo così grassa... I cartoni mi mancavano, ma cominciai ad ascoltare anche io MTV, per poter avere poi qualcosa di cui parlare. In effetti qualche cantante era carino. Ma io sarei mai potuta essere all'altezza? La mia risposta era NO, non lo ero. Non ero all'altezza di quel mondo, ma pensavo che, cambiando, lo sarei stata.
La mia famiglia. Proprio in quegli anni, i nonni cominciarono ad ammalarsi. Uno in particolare si è ammalato di Alzheimer. Mia mamma non ha mai voluto ricoverarlo e con grande coraggio, pazienza e impegno gli ha affiancato dei badanti e l'ha seguito lei stessa. È stato un lungo travaglio, durato 4 anni, una lunga discesa nel vuoto della mente, nella perdita di autonomia. Mia madre si stava lentamente esaurendo, per mio nonno e per i problemi sul lavoro. E io vedevo i miei genitori sempre meno. Mi capitava di passare in casa tutto il pomeriggio, dal pranzo fino alle nove di sera. Ricordo che, dopo pranzo, mi mangiavo intere confezioni di arachidi guardando "Settimo cielo"; non mi serviva tutto quel tempo per studiare, ero molto brava e veloce a scuola. Mi annoiavo. 
Come io e le arachidi ci lasciammo. Staccandomi dalla mia famiglia, che non vedevo per questioni di tempo, ho cominciato a chiacchierare di più con i compagni. Ricordo che un giorno chiesi a una ragazza di nome Eleonora - decisamente una delle più belle e corteggiate della classe - come facesse ad essere così magra, dato che anche io volevo essere così. "Non devi mai mangiare fuori pasto". Eureka! Quindi avevo una speranza di diventare come lei! Avevo una speranza di non sentirmi più fuori dal branco. Fu così che io e le arachidi ci lasciammo. Poco più in là, una mia compagna mi disse apertamente che secondo lei ero sovrappeso. Se riguardo ora, a distanza di più di dieci anni, le foto di classe, vedo che LEI era abbondantemente in sovrappeso. Ma allora non lo vedevo. Lei girava nel gruppo delle persone "in". La prima tessera del domino aveva smesso di vacillare ed era caduta.
Qualche tessera dopo... Cominciai a correre e a dimagrire un pochino. Cercai di mangiare dolci solo il week-end e alle occasioni speciali, ma in questo non ero bravissima. Sante barrette Kinder! La mia alimentazione si fece disordinata. Tolsi la canonica cena, che sostituii con pane e yogurt. Per intenderci, tanto pane e tanto yogurt. Mia mamma preparava frigoverre di yogurt alla banana ben zuccherati. Ma era yogurt, nella mia testa. Non si trattava ancora di calorie, ma del gesto. Erano primi passi incerti verso qualcosa che non conoscevo e che desideravo, perché, a mio parere, mi avrebbe resa più adatta. Non sapevo bene cosa fare, non volevo avere fame, non pensavo all'anoressia; volevo solo...cambiare.
Lo shopping. Quando chiesi a mia mamma di comprarmi i miei primi jeans attillati a vita bassa (possibilmente con qualche borchia), mi accontentò (senza borchie). Quei jeans a lei non piacevano, a me nemmeno, ma sentivo che..."dovevo". Lo shopping era diventato difficile; mi sentivo a disagio con addosso quei vestiti così femminili, si appiccicavano alla pelle. Ridatemi la tuta. Dovevo cominciare a usare il reggiseno. Mi era venuto il ciclo. Mi sentivo grassa. Aiuto!
C'era una cosa preziosissima in questo contesto, che ora riconosco: lo dicevo. Chiamavo mia mamma in camerino, magari glielo dicevo a bassa voce sul filo della tendina, quando lei, spazientita, minacciava di lasciarmi al negozio e andarsene. Ma le dicevo "mamma, secondo te, sono grassa?". Lei negava; a volta lo diceva alle commesse ("mia figlia è scema, dice che si sente grassa"), che negavano anche loro. "Così stai bene, mica come tutte quelle ragazzine anoressiche che si vedono in giro!", mi disse una signora una volta. E io pensavo che nessuna di loro capisse cosa volesse dire essere me, io che avrei voluto mille volte essere come loro. Non anoressica, sia chiaro. Solo magra come loro. A posto come loro. Felice come loro. È stato quest'ultimo passaggio (magrezza -> felicità) a tradirmi. Perché, anche se allora non me ne rendevo conto, avevo attribuito al dimagrimento la capacità di risolvere la tristezza legata al mio disagio. L'avevo eletto a mezzo per risolvere i miei problemi.

Se riguardo le poche foto che mi rimangono di quei giorni, posso dire che non ero davvero grassa. Ma quello che dicevo, in effetti, era diverso; dicevo "mi sento grassa". Non che lo fossi. E non lo dicevo per sentirmi rispondere che ero bellissima. Nessuna risposta sarebbe stata in grado di garantirmi serenità, perché il problema non era la mia presunta ciccia, ma il mio sentirmi totalmente inadeguata alla mia nuova situazione, al mio nuovo mondo. Ma mi c'è voluto molto tempo per capirlo.

Leggere i segnali. Un giorno chiesi a mia mamma: "mamma, mi porti da un dietologo?". La risposta è stata "no, non ne hai bisogno, stai bene così". Sono tornata all'attacco più volte, con entrambe i genitori, insieme e/o separati. Sempre no, no e no. Pensavano con sincerità che non ne avessi bisogno. Se ne facciamo una questione di BMI, in effetti, non ne avevo bisogno. Loro avevano tanti altri problemi, tra lavoro e nonni. Io stavo diventando sempre più adolescente. L'avranno preso per un capriccio dell'età, una pretesa da ragazzine. Non c'è stato niente da fare e non avevo ancora né i soldi né le modalità per fare da sola. Quindi, non potei andare dal dietologo.

Forse, una visita mi avrebbe fatto bene. La mia alimentazione si stava facendo disordinata, al di là della cena, che davvero era stata sostituita in modo tale da far aumentare i proventi dell'industria dello yogurt, alcuni cibi scomparivano dalla mia alimentazione nel corso dei giorni. Rimanevano ancora dei dolci, qua e là, dei carboidrati. Ma non volevo più la bistecca alla valdostana, le uova, il risotto coi funghi... Non c'era una logica sotto. Non volevo togliere un macronutriente preciso, ero ancora mentalmente piccola per questo. Toglievo a caso, sperando che quel caso mi aiutasse. E ci credevo, credevo davvero che potesse aiutarmi. Forse un dietologo avrebbe capito e mi avrebbe aiutata, se non altro, tirandomi via la nutrizione dalle mani, rimettendola a posto, conservandola. Magari mi avrebbe spiegato le cose, mi avrebbe detto che mangiare era il mio modo per vivere e che il cibo non era la modalità con cui avrei risolto i problemi. O forse nemmeno il dietologo sarebbe servito a evitare quello che già stava succedendo.
A conti fatti, ai miei genitori non rimprovero niente. Non avrei potuto nemmeno immaginare due genitori migliori, mi sono sempre stati a fianco e ancora lo sono. Il motivo per cui ho raccontato questo particolare episodio è che vorrei potesse essere utile ad altre persone, magari a un genitore preoccupato, se mai dovesse passare di qui. È un mestiere difficile, quello di padre o di madre, è difficile stare accanto a bambini che crescono ed è difficile leggere i segnali del loro disagio, attribuendo a ciascuno la giusta importanza. La richiesta di un dietologo può essere un "capriccio" e magari non c'è da preoccuparsi. Ma a volte è qualcosa di più. Nel mio caso, oltre al dietologo, chiedevo di fare l'anno studio all'estero. L'ho chiesto per anni: avevo una voglia matta di andare vie dal posto in cui ero, non mi trovavo bene. Scrivevo "England" su tutti i quaderni e i diari, volevo andare lì. Segnale numero due. C'era un disagio psicologico sotto, volevo cambiare, andarmene, scappare.  Ma nessuno lo comprese, almeno all'inizio.


...to be continued

1 commento:

  1. Ciao!!
    ti ho trovata per caso...
    come mi riconosco in tanti troppi passaggi...
    anche io alle medie anche io una nonna anche io dietologo..
    mia madre non volle accompagnarmi..forse per questo il tizio non mi ha preso sul serio..disse che ero sottopeso.
    e mi lasciò al mio destino...
    da allora ho raggiunto le 3 cifre.
    le perdo le riacquisto..
    sempre di meno sempre di più..
    gli estremi si dilatano...

    leggo tanta tristezza nelle tue parole..tanto dolore..e lo comprendo in toto..
    lo comprendo da circa 22 anni.

    ti seguo.

    se vuoi passa da me

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